Oggi, come tutti i fine settimana, avrei dovuto scrivere di calcio, del campionato e di un pallone sempre più al centro dell’attenzione mediatica. Ma non me la sento, oggi non ce la faccio proprio. Il mio pensiero va subito a Milazzo e alla tragedia che ha coinvolto Aurelio Visalli, il sottufficiale secondo capo della Capitaneria di Porto Guardia Costiera – padre di due figli – che ha perso la vita tuffandosi istintivamente in un mare in tempesta per soccorrere un 15enne e un 13enne che, nonostante le condizioni proibitive del tempo, per sfidare la forza della natura si sono tuffati per gioco tra le paurose onde marine della zona del mar di Ponente. Un atto di riprovevole, stupida goliardia che ha buttato nel dolore e nell’angoscia l’intera comunità di Milazzo, ma, soprattutto, la famiglia Visalli di Venetico, il paese in provincia di Messina dove viveva il giovane sottufficiale. Una funesta giornata luttuosa, quella del 26 settembre 2020, per una Milazzo apparsa già in mattinata sovrastata da nubi nere, minacciose e da un fortissimo vento che non preannunciava nulla di buono. Eppure i due sbarbatelli con il pensiero di sentirsi forti e di raccontare magari ai loro coetanei l’avvenuto coraggio di buttarsi tra le onde di un mare assassino, hanno combinato l’imperdonabile gesto che ha provocato la morte di una giovane vita e rovinato una famiglia. Questi sono i classici momenti in cui resto senza parole, attimi in cui neppure più le mie dita che pigiano attraverso il cervello la tastiera del mio computer, riescono a partorire pensieri consoni a una situazione così sciocca e allo stesso tempo tragica, tale da rendermi davvero disarmato. Salvare i ragazzini e poi non avere più la forza di tornare a riva a causa delle onde impetuose e del forte vento che non dava tregua. Una lotta impari che ha finito con lo sfinire Aurelio, abbandonandolo a un mare che dopo averlo ucciso ha almeno avuto l’umano gesto di restituire dopo molte ore e infinite ricerche, il corpo ormai privo di vita. Ma Aurelio è un eroe, forse anche un angelo che istintivamente si è buttato in mare con l’idea di salvare gli altri. Già, salvare quei ragazzini che chiedevano aiuto senza neppure avere un attimo per riflettere che avrebbe potuto lui stesso perdere la vita, abbandonando i suoi affetti più cari che erano ad attenderlo a casa come tutti i giorni dopo avere terminato il lavoro. Una tragedia che fa rabbia, perché morire a causa di una pura e semplice bravata non trova nessuna spiegazione logica se non il sentimento di disappunto verso certi adolescenti amanti di self estremi che rafforzano il senso dell’incapacità di costruirsi una vera identità. Certo, non voglio generalizzare questo dilagante vezzo sociale e adolescenziale per fare un parallelismo con quanto è successo nella tragedia di Milazzo, tuttavia, mi sembra che questo sfidare per gioco il pericolo, rappresenti davvero una moda che si inerpica sempre più verso il raggiungimento del nulla. Pensieri, i miei, momenti che ripercorrono il gesto di due ragazzini di Milazzo che non ha alcuna giustificazione, se non la vuota e assurda bravata adolescenziale che ha funestato una giornata carica di rabbia, dolore, lacrime e lutto per un’intera comunità. Peccato che nella vita non si possa più ritornare indietro anche solo per un attimo, così come si fa con il replay di qualcosa che vorresti rivedere e magari porre rimedio. No, purtroppo non si può. La vita è unica e irripetibile, per questo bisogna salvaguardarla frenando certa spregiudicatezza di gioco che è figlia della stupidità.
Salvino Cavallaro